28/12/09
28 Dicembre 2009
25/12/09
Ali d’Acqua IX
Flashback: Il Cancello d’Oro
- Perché sei qui? - chiese l’Arcangelo all’Ondina, che lo fissava coi suoi occhi verde intenso, rimanendo a braccia conserte, parzialmente in ombra sotto l’arcata del Golden Gate Bridge.
- E tu? Anche tu non è un caso sia stato mandato... - disse lei, mentre giocherellava col piede, smuovendo la ghiaia che ricopriva il terreno a ridosso del ponte. A Gabe parve stesse scrivendo qualcosa, o disegnando figure, ma non ne era sicuro, e distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi su quegli occhi di smeraldo, profondi ed enigmatici. Non ne aveva mai visti così, nelle Alte Sfere nessuno aveva gli occhi verdi.
- Una missione, un compito... qualcosa del genere - rispose.
- Lo stesso per me.
- Da dove vieni?
La ragazza volse la testa verso
- Credevo fossi di Los Angeles! - scherzò Gabriel, che aveva capito. Era una Figlia di Atlantide. Una delle più belle, probabilmente, si sorprese a pensare. Gracelyn rise a quella battuta.
- E io credevo invece quel posto fosse casa tua, la città degli Angeli... - sorrise. Aveva capito anche lei.
- Shhhh... - Gabe le intimò silenzio, portandosi l’indice alla bocca. C’erano segreti che era meglio non rivelare. Il Leviatano poteva essere in ascolto. E anche il Kraken, a questo punto, perché la presenza dell’Ondina, considerò Gabriel, poteva significare solo una cosa: che la minaccia, stavolta, era doppia. I Servi delle Tenebre stavano per scatenare l’inferno sulla Terra, su ogni fronte, e come il Capo aveva mandato lui, dalle Alte Sfere, così le profondità dell’Oceano si erano aperte, e una delle Figlie dell’Acqua era salita in superficie, e ora lo stava guardando, giocherellando con la punta del piede -o forse scrivendo, o disegnando qualcosa- col ghiaino del Golden Gate Park.
Era la prima volta che un Arcangelo incontrava un’Ondina, e se spesso i Signori della Luce si erano alleati, lo avevano fatto ad alti livelli, collaborando tra loro, e agendo sempre per vie misteriose, difficilmente comprensibili ai loro sottoposti.
- Pensi che il nostro incontro sia un caso? - chiese Gabe, muovendo un passo verso di lei.
Grace si ritrasse istintivamente, poi si fermò, e lasciò che l’Arcangelo si avvicinasse. Quando fu a meno di un metro da lei, rispose:
- Penso sia un miracolo - disse - quello che può salvare il mondo... quello che... - abbassò lo sguardo a terra, e cancello col piede il disegno -o la frase- che aveva tracciato sulla ghiaia.
Gabriel le prese le mani. Tremavano leggermente, ma strinsero le sue, forte, come una promessa silenziosa.
- ...Quello che può salvare il mondo, quello che può dare un senso al mio mondo... - disse l’Arcangelo.
- Quello che sta già dando un senso al mio - disse l’Ondina.
Continuarono a fissarsi negli occhi, in silenzio, per lunghi minuti, mentre l’alba diventava il mattino, e la nebbia si alzava, sopra
Da qualche parte, fra
- Era previsto si innamorassero? - chiese il Signore di Atlantide, battendo lo scettro contro lo schermo incrostato di corallo, che come sempre funzionava quando pareva a lui, nemmeno fosse dotato di propria volontà.
- Non lo so - rispose il Capo delle Alte Sfere, con una risatina sottile.
- Si, certo - continuò il Re dei Flutti, sbuffando - Tu non lo sai... Tu che non sai qualcosa...
- Mettiamola così - rispose il Capo - Gabriel e Gracelyn sono le controparti Luminose di Leviatano e Kraken. Il loro amore potrà unirli ancora di più, nella battaglia, garantendo maggiori probabilità alla vittoria finale.
- Tu parli sempre per enigmi... ce la faranno quei ragazzi? - Il Signore di Atlantide si lisciava la lunga barba, pensoso.
- Sei preoccupato per tua figlia, Poseidon?
- Si, certo, ovvio! Che domanda! Sarei un incosciente se...
Il Capo sorrise, e lo schermo, per una volta, stabilizzò l’immagine, che parve diventare tridimensionale, nella sala comandi di Atlantide.
- Non preoccuparti - disse il Capo delle Alte Sfere - sono in gamba quei due ragazzi. I migliori. E questo, lo so per certo, credimi.
- Un atto di fede?
- Una promessa da Dio a dio.
Buon Natale a Tutti i Mondi
19/12/09
Ali d’Acqua VIII
di Robi e Samy California
Fissava l’orizzonte, quella linea indefinita che era mare, ma era anche cielo, laggiù, in fondo allo spazio senza confini che circondava
Fissava l’orizzonte, Gracelyn, con il vento a sussurrarle canzoni fra i capelli, e la lunga gonna verde che accarezzava la nuda roccia ai suoi piedi.
Era serena, come sempre quando si trovava in quella dimensione fra sogno e materia, ma un’ombra di inquietudine le ombreggiava la linea perfetta delle sopracciglia, sopra gli occhi color smeraldo, dentro cui si riflettevano le prime scintille dell’aurora. L’incontro col Kraken, pochi istanti prima, secoli secondo le percezioni di quella dimensione sospesa, l’aveva turbata.
Una vaga luminescenza, che pareva scaturire direttamente dalla roccia ai suoi piedi, l’avvolse, lentamente, mentre saliva e cresceva in dimensioni, circondandola, seguendo la linea del suo corpo, addensandosi all’altezza del petto e delle braccia, formando una figura che ricordava delle ali di luce diafana.
La figura si fece più definita, le ali la cinsero in un abbraccio dolce e pieno di calore, e Gracelyn salutò Gabriel, con un bacio pieno di mille parole non dette.
- Ciao amore - disse l’Ondina.
Gabe rispose al saluto con un sorriso pieno di gioia trattenuta. Qualcosa, evidentemente, preoccupava anche l’Arcangelo. Grace l’aveva percepito, ancora prima di chiamarlo nella Spiaggia Bianca, grazie al loro legame telepatico, e immaginava quale fosse la causa di quell’inquietudine.
- L’hai visto? - chiese Gabe.
- Si.
Gabriel annuì, prendendola per mano, e accompagnandola sul divano, dove si sedettero. Grecelyn appoggiò la testa sulla spalla del suo Angelo, cingendolo col braccio.
- Ho sentito uno strappo nel nostro legame - riprese Gabriel - e per un momento...
- Quando quel mostro ha aperto il suo occhio - lo interruppe lei, premurosamente - ho perso i miei poteri telepatici.
- Si, l’ho pensato subito... quando poi il legame si è stabilizzato di nuovo... grazie al Capo...
Grace rise, con la sua voce d’argento piena di sfumature - Dici sempre così? “Grazie al Capo”? - riusciva sempre, con una battuta, a tranquillizzarlo.
Gabe sorrise a sua volta - Deformazione professionale.
Rimasero per un attimo in silenzio, poi Gabe le chiese:
- Cosa ne pensi? Voglio dire? Perché ora? Perché quest’alleanza fra Kraken e Leviatano? E perché noi? Perché tocca a noi due affrontarli?
A quella domanda Grace si sollevò dal petto di Gabe, poggiando il gomito sul divano, e fissandolo con aria preoccupata.
- Kraken e Leviatano... – disse pensosa - ...credo che la loro alleanza arrivi da qualcosa di più grande. E’ il loro Capo che li ha messi insieme, Gabe, perché sono i due esseri più malefici e distruttivi che ha creato. Ha fatto proprio come hanno fatto i nostri Capi, si sono alleati unendo le loro forze, che poi è un unica forza, quella del Bene. Non so perché abbiano scelto proprio noi, forse perché siamo i più tenaci, il male non ci ha mai spaventati e non abbiamo mai mollato, finché non abbiamo portato a conclusione le nostre missioni...
Gabe vedeva nei suoi occhi tutto lo sgomento che l’Ondina aveva provato, alla vista del Kraken e quello che il Mostro aveva cominciato a fare, in fondo all’oceano, e la guardava con tenerezza, come se volesse dirle che a proteggerla ci sarebbe stato lui, col suo amore, oltre che con la sua spada. Ma non poteva, non quella volta. Quella volta, lo sapeva benissimo anche lui, la situazione era diversa da tutte le altre. Non disse niente, e la attirò a sé, stringendola.
- Che succederà se stavolta non riusciremo a sconfiggerli, Gabe? Il Male ha scelto il momento adatto per non fallire nel suo intento. Il mondo cade già a pezzi da solo, basta scuoterlo un po’ e crollerà del tutto. Dare il colpo di grazia adesso è più facile che mai...
- Ce la faremo amore – le disse, dandole un bacio sulla fronte – Noi siamo i buoni, e i buoni vincono sempre, alla fine…
Grace alzò gli occhi e gli sorrise; pensò che Gabe fosse incredibile, riusciva sempre a rassicurarla e a darle la forza necessaria per fronteggiare le difficoltà, anche quando avvertiva le stesse paure e le stesse incertezze che turbavano lei.
- Sì amore, ce la faremo. Perché a lottare siamo noi due, noi due insieme. E questo basterà.
Grace gli diede un bacio e sorrise ancora, quelle poche parole di Gabe l’avevano resa fiduciosa, e i dubbi e le paure che aveva avuto alla vista del Kraken erano spariti. Perché con lei c’era Gabriel, e insieme avrebbero trovato il modo di vincere anche questa ennesima battaglia, che probabilmente era la più difficile di sempre.
Si strinse nel dolce abbraccio del suo Arcangelo, e chiudendo gli occhi si lasciò cullare dai battiti del suo cuore.
10/12/09
Ali d’Acqua VII
Il Leviatano
Dopo aver scattato le ultime foto, Gabriel si allontanò dalla scena del disastro, diretto all’auto. Mentre riponeva l’attrezzatura, rifletté sul senso di quello che aveva visto: la prima, palese manifestazione del potere del Leviatano, talmente palese, pensò, da non potere essere fraintesa. Era un messaggio, chiaro, limpido e a tutto volume, diretto a lui, e attraverso lui, ai Piani Alti. Diceva, in sostanza: “eccomi, sono sveglio, e sono qui. A voi la prossima mossa!”, seguito da una risata sinistra che Gabe poteva sentire chiaramente risuonare fra i pezzi di carne maciullata, e i brandelli di edifici rimasti, dopo il passaggio del Mostro.
Da quando aveva accettato la sua missione terrena, ne aveva viste di scene da far rivoltare lo stomaco: attentati, massacri seriali, incidenti di colossali proporzioni, ma in quello che si era appena lasciato alle spalle c’era una pianificazione, una malvagità talmente sottile, che anche un Arcangelo poteva, per un momento, sentire il bisogno di appoggiarsi a una parete, e chiudere gli occhi, in attesa che il senso di nausea passasse.
Doveva a questo punto rendersi conto in maniera più precisa, di quanto la minaccia del Leviatano fosse prossima al suo pieno manifestarsi, e quanto il Leviatano stesso fosse vicino.
Chiuse la portiera dell’auto e, a piedi, si diresse verso un vicolo abbastanza stretto, scuro e appartato, perché potesse dispiegare i suoi poteri senza che sguardi indiscreti spiassero le sue mosse. Con un ultima occhiata intorno, richiamò a sé
Lentamente una luminosità diafana lo circondò, localizzandosi dietro le sue spalle, e rimanendo in sospensione, come una nebbia vagamente fluorescente, che formava un vago disegno di ali. L’ombra di quelle a cui, accettando la missione, e l’amore di Gracelyn, aveva rinunciato, allo stesso modo in cui l’Ondina, contraccambiando quell’amore, si era metamorfizzata in una creatura con due gambe, al posto della pinna caudale.
Una volta che la luminescenza rimase stabile, dietro le sue spalle, Gabriel si alzò in volo, raggiungendo in breve un’altezza sufficiente per vedere, sotto di sé, tutta San Francisco.
Nel suo cielo, a poche centinaia di metri dalle nuvole, Gabe si sentiva a casa, pienamente conscio che quella consapevolezza proveniva da molto più alto, dalla Grazia che scorreva per sempre nelle sue vene, ed era un suo retaggio naturale, e anche se non avrebbe più ammirato
Gabriel sorrise, anche quegli occhi erano casa sua, ormai, la casa più bella avesse mai avuto.
Ma l’amore doveva aspettare, ora. C’era una questione da prendere in considerazione, coinvolgente il destino del Pianeta che era stato chiamato a proteggere.
Abbassò lo sguardo verso quel reticolo di linee intersecate color grigio chiaro, con chiazze bianche, verdi e azzurre, che era San Francisco vista da
Queste considerazioni occuparono la mente dell’Arcangelo per lunghi istanti, e Gabriel si meravigliava sempre di quanto, pur perfettamente congegnato, quel mondo era dotato di un libero arbitrio, talvolta utilizzato in maniera obliqua, ma pur sempre il dono più grande che ogni struttura dell’universo potesse ricevere. Molti dei settanta pianeti del multiverso erano governati dalla fredda causalità, o dalla stasi.
Interrompendo il flusso dei pensieri, Gabriel si concentrò per vedere oltre l’apparenza, spogliando il panorama cittadino che si stendeva sotto di lui dagli orpelli superficiali. Nei fumetti potevano chiamare questa capacità “vista a raggi X”, o qualcosa di altrettanto pittoresco, ma non era così che funzionava. In realtà, la vista di Gabriel penetrava dentro la struttura stessa della materia, riuscendo a mettere a nudo qualunque cosa stesse disconnettendone il tessuto.
E quella cosa, nella fattispecie, era il Leviatano.
Si stendeva sotto la città, coi suoi tentacoli proteiformi, continuamente cangianti, pieni di bolle d’antimateria pronte ad essere convogliate nella realtà sovrastante, asportandola completamente, com’era appena successo, e nel modo che le foto che aveva scattato avrebbero reso ancor più sinistramente chiaro, una volta sviluppate.
Sembrava dormire, il Mostro, ma Gabriel sapeva che non era così. Piuttosto attendeva un segnale, qualcosa che gli desse il via, e lo incitasse a liberare ancora il suo potere distruttivo contro quella città, quel pianeta. Un fulgore bianco scintillò per un attimo nella mano destra dell’Arcangelo, prontamente spento con un piccolo sforzo di volontà da Gabe. Non era il momento per far brillare
Il Leviatano era perfettamente immobile, e Gabriel ne ammirava, in qualche modo affascinato, la perfetta simmetria non euclidea dei tentacoli, della testa allungata e terminante a punta, coi tre occhi chiusi da palpebre seriche e umide, di colore giallastro. Pensava a come sarebbe stato facile, ora, piombare giù in picchiata, attraversare il reticolo della realtà dove il Mostro si era innestato, e colpirlo nel terzo occhio con un colpo perfetto della sua spada divina. Ma non era il momento, e anzi, quello rischiava di rovinare tutto, perché i poteri antimaterici del Leviatano sarebbero stati trasferiti al Kraken, con effetti devastanti.
Fu proprio in quel momento che percepì uno strappo nel legame telepatico che costantemente lo teneva in empatia con Gracelyn. Come se... Gabriel scartò quell’ipotesi, più per l’orrore insito nella possibilità che per reale convinzione. L’Ondina non poteva essere... non era possibile che... per lunghi istanti i pensieri dell’Arcangelo innamorato vagarono, privi di coordinate, mentre la brillantezza delle ali diventava più forte, e a tratti
Finché, con un sospiro di sollievo, accolse il ritorno del segnale empatico, che ronzò come il canto di un’allodola nella sua mente. Grace era viva, grazie al Capo!
Ma qualcosa doveva esserle successo, in quei brevi momenti, probabilmente aveva perso i suoi poteri telepatici, e la causa poteva essere una sola: l’Ondina si era trovata a tu per tu col Kraken.
Dovevano parlare. E subito anche. Non aveva finito il pensiero, che udì il familiare richiamo di Gracelyn, simile a un canto, che preannunciava un incontro alla Spiaggia Bianca, dove lei lo stava già aspettando, e dove lui, chiudendo gli occhi, e aprendo il varco dimensionale, si diresse, senza perdere un solo istante.
06/12/09
Who's Next?
28/11/09
18 Pensieri per 28 Universi
Un pensiero per ogni Giorno
18 pensieri per Questo Giorno
28 Universi racchiusi nel
Palmo di una Mano.
Buon 28 Novembre Amore mio
Ti Amo Samy
il Tuo
Robi
26/11/09
Ali d’Acqua VI
Il Kraken
Gracelyn, a occhi chiusi, si abbandonava alla carezza di quel vento profumato di salsedine, che le soffiava sul viso e le scompigliava i lunghi capelli castani, mentre la barca procedeva veloce sulla superficie dell’Oceano, al largo delle coste australi. Appoggiata a tribordo, con la testa leggermente piegata sulla spalla, si godeva quei pochi momenti di pace, assaporando le sensazioni di assoluta serenità e dolcezza che il suo elemento naturale, le donava. Molto presto, pensava, avrebbe rimpianto quegli attimi, una volta che la barca fosse giunta a destinazione, in quella zona dove una minaccia ancora non ben definita, stava lentamente risucchiando la vita dal mare.
- Capo, ci siamo.
La voce di Chuck la scosse da quel torpore quasi onirico, e Grace aprì gli occhi. La barca era ferma - non si era accorta della manovra, immersa com’era nella sua trance elementale - e il suo assistente la stava fissando, con un sorriso compiacente sul volto abbronzato. Chuck era un aborigeno, e capiva la sostanza dei sogni. Una delle ragioni per cui Grace lo aveva messo al comando della sezione australiana delle Star-Shaped Sheashell org.
- Bene, Chuck, è qui dunque...
- Si. Perlomeno, questa è la zona segnata sulla mappa virtuale elaborata da Devereaux... e detto fra noi, Capo, qualcosa mi dice che è proprio qui che inizieremo ad avere qualche risposta.
Quel qualcosa era un altro dei motivi per cui Chuck avesse un ruolo di primaria importanza nell’organigramma dell’Azienda, e nella considerazione professionale di Grace. Il giovane aborigeno aveva infatti una sensitività telepatica molto sviluppata, che lo rendeva oltremodo prezioso per gli scopi perseguiti dalla Sea Star org. L’ultima ragione era l’assoluta discrezione e fedeltà del giovane, una delle poche persone a conoscenza della natura Atlantidea della manager dagli occhi verdi.
- Bene, allora procediamo come convenuto, Chuck. Accendi gli scanner di profondità, e crea una copertura antiradar per un raggio di, diciamo, tre miglia marine, registra tutto, e rimani costantemente in contatto con me... - Grace si tocco la tempia con due dita, indicando un tipo di contatto non contemplato dalle scienze esatte.
- Naturalmente - annuì Chuck, avvicinandosi con una muta subacquea blu cobalto, che le porse. Grace fece segno di no con la mano.
- Non stavolta, Chuck. E’ troppo che manco dal mare, voglio sentire le correnti sulla pelle, amico mio - disse, sorridendo.
Si tolse la t-shirt bianca, i mocassini Timberland, e i corti pantaloncini di cotone. Sotto portava un costume a due pezzi con motivi geometrici verdi e neri. Con un agile balzo saltò sul bordo della barca, mantenendosi in equilibrio bilanciandosi sulla punta dei piedi, e allargò le braccia. Portò avanti le mani, assumendo una posa da esperta tuffatrice; il vento le agitava leggermente i capelli, mentre l’Ondina assaporava ogni istante dell’attesa, prima di spiccare il salto verso le profondità dell’Oceano.
Grace si voltò un’ultima volta verso Chuck, sorrise, e con un balzo si lanciò nell’acqua, sparendo in un baleno sotto la superficie.
- Buona fortuna, Capo - mormorò Chuck, facendosi serio. Poi si voltò e tornò all’interno della cabina comandi, pronto a fare la sua parte.
La carezza delle correnti sottomarine era infinitamente più dolce e delicata di quella del vento di superficie. L’accoglieva, ricordandole che lei era una creatura dell’acqua, e la sua casa era l’Oceano, vasto e multiforme quanto l’universo che lo conteneva.
Nuotava veloce, gustando la delicata, ma pungente sensazione dell’ossigeno che penetrava nel suo organismo attraverso i pori della pelle, scorrendo lungo le arterie, e si trasformava in energia di vita. Non c’era paragone con la limitata capacità respiratoria del popolo di superficie, questa era essenza pura della consapevolezza di esistere.
Anche se la missione l’aveva costretta a rinunciare alla sua fisicità originaria, le gambe in cui si era metamorfizzata la pinna caudale si comportavano bene, e battendole alternativamente, facendo vibrare la massa d’acqua coi piedi, riusciva a raggiungere velocità notevoli, anche se non elevate come quelle di un tempo. Ma non importava. Rinunciando alla sua forma originaria di Ondina, aveva guadagnato l’amore di un Angelo.
Immersa nel suo elemento, e nel flusso dei pensieri, Grace non si era accorta di essere scesa notevolmente in profondità, giungendo in una zona buia e silenziosa -per lei, in grado di sentire le migliaia di voci del mare-, dove le correnti tendevano a diminuire, fino a fermarsi, e dove non vi era apparentemente alcuna forma di vita.
Gracelyn si fermò, ondeggiando, con leggeri movimenti delle braccia e delle gambe. Percepiva come l’acqua, in quel punto, tendesse a raffreddarsi progressivamente. Capì di essere giunta presso l’epicentro della zona di crisi.
“Chuck... riesci a sentirmi?”, chiamò telepaticamente il giovane aborigeno, rimasto sulla barca.
“Si Grace”, la risposta le giunse direttamente nel lato destro del cervello, chiara e limpida, come se Chuck fosse lì, a un metro da lei.
“Ci siamo, direi... cosa segnalano gli strumenti?”
“Una vasta massa non identificata, proprio sotto di te... e anche davanti... e ai tuoi lati... non è molto chiaro Capo, lo scanner mi dà tua posizione, ma tutto il resto è come... offuscato, e in continuo cambiamento... Si, direi che ci siamo!”
Grace scese leggermente più in profondità, entrando nel cuore della zona scura, con cautela, ma senza esitazioni.
E il Kraken aprì il suo occhio, fissandola.
Chuck venne letteralmente spinto indietro, mentre il suo cervello parve esplodere. Andò a sbattere contro la parete della cabina comandi, e cadde a terra, portando le mani alla testa e stringendo i denti, in una morsa di dolore lancinante, dopo che quello che sembrava il grido di morte di mille gabbiani, gli aveva devastato per lunghi istanti la mente.
Gli ci vollero una decina di minuti per riprendersi, rimettersi in piedi, con la testa che ancora ronzava, e un principio di emicrania in arrivo. Corse fuori dalla cabina, percorrendo velocemente il ponte, e scrutando l’Oceano, mentre la preoccupazione iniziava a trasformarsi in un senso di panico. Non vedeva nulla, il mare era calmo e piatto come una tavola. Anche il vento era caduto, riducendosi a una brezza sottile e sibilante.
Non sarebbero dovuti andare là da soli, pensò, era stata una follia. Nonostante i poteri, e la determinazione di Grace, quello era un problema troppo grande per affrontarlo così, quasi incoscientemente. Non sentiva più i pensieri dell’Ondina, e mentre i minuti passavano si preparò al peggio.
Poi, un rumore alla sua destra lo scosse dal torpore, e Chuck si voltò, in tempo per vedere una forma elegante e leggera volare fuori dall’acqua, e atterrare delicatamente, rannicchiandosi sul ponte. Un sospiro di sollievo gli uscì dalle labbra.
- Grazie al cielo... - mormorò.
Grace si alzò in piedi, avvicinandosi al giovane, con l’acqua che le scorreva lungo il corpo, bagnando il ponte, e il viso sconvolto da un’espressione mista di orrore e risoluzione.
- L’ho visto... - disse, quasi parlando a se stessa, quando fu a un paio di metri da lui. Chuck la fissava, muto.
Gracelyn si tirò indietro i lunghi capelli castani, e volse lo sguardo verso la superficie dell’Oceano - ...è peggio di quanto pensassimo, Chuck...
L’aborigeno annuì, continuando a rimanere in silenzio.
Grace tornò a fissarlo - Fai rotta verso la costa – disse - io... devo... ho bisogno di parlarne con Gabe.
E mentre Chuck si dirigeva verso la cabina comandi, Grace sedette sul ponte, allungò le gambe rilassando i muscoli, e la mente. Chiuse gli occhi, e aprì il passaggio dimensionale per
14/11/09
Ali d’Acqua V
07/11/09
Ali d’Acqua IV
Intersezioni
L’atmosfera all’interno era quella che si respira in un qualunque Starbuck, di un aeroporto fra Amsterdam e Seoul, e solo l’accento Commonwealth masticato, e la vista parziale dei terminal del Richmond, che le ampie finestre di vetro lasciavano intravedere, fra le tendine socchiuse, indicavano in Sidney il luogo dove Gracelyn e Devereaux stavano parlando, seduti a un tavolo d’angolo, discretamente riparato da una serie di piantine decorative verde acceso.
Grace aveva preferito incontrare l’oceanologo subito dopo l’arrivo nella metropoli australiana, senza passare prima in albergo, impaziente di avere notizie riguardo la crisi in atto nella parte marina del globo.
Ora però, dopo le dieci ore di volo, e le due già trascorse da quando, salutandola col suo solito sorriso che somigliava a un ghigno, sotto il panama bianco che portava probabilmente anche quando dormiva, Devereaux le aveva fatto strada all’interno del locale, e iniziato il suo rapporto, con i muscoli doloranti e la pelle secca, i piedi che imploravano dolorosamente di essere liberati dalle strette chanel - non si sarebbe mai abituata ad avere due gambe articolate, e ora più che mai rimpiangeva la flessuosa eleganza della pinna caudale che era il suo orgoglio, sin da quando sguazzava, piccola Ondina curiosa, intorno alle torri di Atlantide, giocando a nascondino coi suoi amichetti - Grace si chiedeva se la sua fosse stata una saggia decisione. Aveva bisogno di acqua, la sua riserva autonoma era pericolosamente in rosso, e in questo momento una doccia fresca e prolungata rappresentava tutto ciò che avrebbe chiesto, se un genio fosse uscito dalla lampada alogena che pendeva dal soffitto dello Starbuck.
- Questo è quanto - disse il canadese, appoggiandosi indietro sullo schienale della poltroncina in alluminio e legno.
- That’s all... - mormorò fra sé Grace, studiando i grafici sul monitor del notebbok di Devereaux.
- Non c’è dubbio si tratti di una crisi a livello planetario, ormai possiamo affermarlo con chertezza, mon chére...
Grace aggrottò le sopracciglia; le zone segnate in rosso sulla mappa oceanica nel monitor lampeggiavano sinistre: otto piccole regioni di oceano, dislocate in diversi punti del pianeta, in cui diverse forma di vita stavano scomparendo. Tutto nel giro di tre giorni, troppo velocemente perché qualcuno, oltre alla Star-Shaped Sheashell org., potesse accorgersene, e prendere provvedimenti.
- Il Kraken si è svegliato, dunque...
- Oui, le Krakén... - sorrise Devereaux, con un tono scettico - la mia formazione puramente scientifico-materialista mi impedisce di associare questi fenomeni a una natura, diciamo così, fantastique... ma se intendiamo la cosa in chiave di metafora... - sorrise ancora, fissando Grace - possiamo affermarlo, absoluement... il Kraken si è svegliato, si.
Gracelyn si massaggiò le tempie, un gesto abituale, in quel momento reso più che necessario dalla gravità della situazione. Le chanel sarebbero rimaste al loro posto, e la doccia doveva aspettare.
Avvicinandosi all’angolo che nascondeva la scena del disastro, Gabriel cercò di isolarsi dai rumori che gli bombardavano il cervello, amplificati dalle sue percezioni angeliche, e minacciavano di farlo impazzire. Non amava la confusione, abituato alle Sfere Celesti, ma sapeva a cosa andava incontro, quando accettò quell’incarico dal Capo che aveva visto Tutto, e il lavoro di fotografo per l’altro capo, quello sovrappeso che si svegliava - e lo svegliava - sempre troppo presto, la mattina.
E pur essendo stato testimone di molti eventi eccezionali, nel corso della sua lunghissima esistenza, non era davvero preparato alla scena che si presentò ai suoi occhi, una volta girato l’angolo.
Una larga sezione circolare dell’isolato era sparita. Come se una sfera di antimateria fosse venuta a contatto con la realtà, asportando in maniera perfetta la parte contenuta all’interno del volume. Gli edifici, la strada, le automobili, tutto era tagliato con precisione lungo una sezione sferica. Anche i corpi dei malcapitati che, nel momento del disastro, si erano trovati lì. E quella era la parte peggiore.
Corpi segati a metà, in verticale e orizzontale, o in entrambe le direzioni; arti scomposti senza corpo, teste mozzate all’altezza del collo, della bocca, degli occhi, o lungo l’asse di simmetria del volto. Uomini, donne, anziani, bambini. Anche qualche sfortunato cane, un paio di gatti, e qualche piccione che volava sopra la zona del disastro, giacevano fatti a pezzi, e sparsi per un raggio di trenta metri intorno alla sfera invisibile, che delimitava la zona dell’incidente. L’odore pungente del sangue che si raggrumava scuro, sotto il sole di mezzogiorno, e riempiva la scena, rammentarono a Gabe certe visioni dell’Inferno, studiate durante il suo Apprendistato Celeste.
Tutt’intorno alla zona la polizia aveva steso un cordone, impedendo ai curiosi di avvicinarsi. Alcuni dei poliziotti, un paio di pompieri e addirittura qualcuno del personale paramedico, stavano vomitando, poco distante da brandelli non identificati di materia organica lacerata.
C’era anche Timberlake, e Gabe gli si avvicinò.
- Tenente, che mi dici di questa roba? - chiese, toccando il poliziotto sulla spalla, con l’obbiettivo della Nikon.
Timberlake si voltò di scatto, un’espressione di orrore dipinta sul volto. Riconobbe il fotografo - Gabe... immaginavo saresti arrivato anche tu...
- Brutta storia - riprese Gabriel, accendendosi una sigaretta - ma che è successo?
Conosceva bene la causa di quel disastro, ma voleva tastare il polso alle autorità, per capire quanto sapessero.
Timberlake scosse la testa - Che vuoi che ti dica? Guarda da solo, e se tu hai una spiegazione plausibile, dammela... dimmi che si tratta di qualche atto terroristico, ti prego...
Gabe non rispose, aspirando una profonda boccata dalla sigaretta. Avrebbe preferito anche lui si trattasse di un attentato, o qualcosa del genere. Perché il Leviatano era infinitamente più letale, e spietato, di tutti i terroristi che abitavano i Settanta Pianeti del Multiverso.
E quella volta, giocava in tandem col Kraken.
02/11/09
Ali d’Acqua III
La transustanziazione di Gabriel era avvenuta a New York, ma solo perché è lì che ci sono Quartieri Celestiali attrezzati a rendere il transfert più veloce e preciso. Comunque la sua missione l’avrebbe stanziato nella West Coast.
In nome di quella libertà di scelta, prerogativa anche dei Servitori Alati della Suprema Volontà, poteva decidere il luogo dove avrebbe stabilito la sua dimora terrena.
Ovviamente Los Angeles era la meta privilegiata di ogni Angelo in distacco temporaneo sul Pianeta Terra, e lì Gabe si diresse, inizialmente, studiando la città, il cielo sopra la città, le correnti nascoste sotto la città, lungo le quali si muoveva l’energia che avrebbe dovuto utilizzare, o combattere, una volta che il Leviatano si fosse svegliato.
Scattò moltissime foto di quella metropoli, riservandosi di studiarle con calma. Era un posto che lo affascinava, pieno di stimoli e vibrazioni, ma voleva vedere anche San Francisco. Perché poi, alla fine, tutto l’immaginario terrestre che aveva destinato Gabe fra le fila degli Angeli Custodi dei Sistemi Galattici, da lì derivava.
Intanto quella città portava il nome del santo più eccentrico e incredibile avesse mai incontrato, fra le Sfere; un tipo che a volte metteva in soggezione perfino il Figlio del Capo, quando discutevano del modo migliore per mandare avanti l’Azienda.
E poi, San Francisco era il posto dove gran parte di quel Tutto - perlomeno la parte più fragorosa e divertente - era accaduta: da quando, sulla spiaggia di Big Sur, Jack, Neal, Allen e compagnia lanciavano i loro “Urli”, prendendo poi la destination anyywhere on the road, a quando, in un’estate probabilmente più luminosa di altre, l’Amore esplose riempendo cielo, terra, mare e strade.
A questo pensava Gabe, mentre sorseggiava un caffè lungo, in un diner di Glendale, con le foto scattate a L.A. in bella mostra di fronte a sè, sul tavolino di alluminio anodizzato.
E fu in questa postura che lo trovò Gracelyn, passandogli accanto, e non potendo fare a meno di notare le istantanee di luoghi a lei noti, della Città degli Angeli. Il suo sguardo incuriosito non sfuggì al fotografo, che comunque continuò a bere il suo caffè, facendo finta di nulla, per non mettere in imbarazzo la bella ragazza dai lunghi capelli lisci e luminosi, e lo sguardo di smeraldo.
Il giorno dopo Gabriel arrivò a San Francisco. Con la testa piena delle note dei Quicksilver Messenger Service e i Moby Grape; l’anima che risuonava dei versi di Ferlinghetti e Ginsberg; gli occhi pieni dei colori di Fragole e Sangue e Clint Eastwood che inseguiva Scorpio, con una 44 Magnum lunga come la spada di Michele Arcangelo, il suo compagno di banco al liceo.
La prima tappa fu il Golden Gate, naturalmente, e non perché avesse urgenze da cartolina. Semplicemente quello era il ponte più bello del mondo, sulla Baia più bella del mondo. E mentre la nebbia del mattino iniziava a diradarsi, capì che i miracoli accadono, e anche agli Angeli è concesso di stupirsi, almeno una volta nel corso della loro immortale esistenza. Cosa che, durante l’apprendistato, il suo tutor Daniele aveva sempre rimarcato.
Accanto ai piloni rosso carminio del Ponte, meraviglia incarnata dei fotogrammi più affascinanti e visionari di Vertigo di Hitchcock, c’era la ragazza del diner, quella coi capelli lisci e luminosi, e la gonna lunga che sembrava la coda di una Sirena. Era scalza, e giocava con l’acqua che bagnava dolcemente la battigia.
In quel momento Gabe, se mai avesse avuto ancora delle riserve, decise che San Francisco sarebbe stata la sua casa. Scoprì in seguito che Grace viveva a Los Angeles, e la cosa lo divertì, parendogli assolutamente congrua: un’Ondina che abitava nella Città degli Angeli. Un Arcangelo che viveva a due passi dalla Porta Dorata dell’Oceano.
E quando venne il tempo della Spiaggia Bianca, nel punto in cui le onde e le nuvole si toccano, tra L.A. e Frisco, tutto divenne chiaro, per Gabriel e Gracelyn. E iniziarono ad amarsi.
A pagina 50...
L’aereo iniziò la manovra di discesa verso l’aeroporto Richland di Sidney. Rillassando i muscoli e chiudendo gli occhi, Gracelyn si concentrò, il tempo si cristallizzò, e in un attimo che parve durasse in eterno, mentre gli atomi del suo corpo si scomponevano, e poi riprendevano forma, fu sulla Spiaggia Bianca.
Parcheggiò senza troppa cura per la forma, spense il motore, e si mise in ascolto dei rumori che provenivano dall’isolato a poche decine di metri davanti a lui: urla, sirene della polizia, passi veloci. C’era tempo per l’orrore, e il tempo, dopotutto, non aveva alcun senso, sulla Spiaggia Bianca, dove l’attendeva Grace.
- Da qui è quasi irreale... voglio dire, sembra di assistere a un qualche strano spettacolo, un film...
- Si, e sarebbe bello poter rimanere fino alla fine, semplici spettatori... - Grace appoggiò la testa sulla spalla del suo Angelo, prendendogli la mano nella sua.
- Lo sarebbe si... - lo sguardo di Gabe vagava, rivolto in basso, verso quel buffo pianeta pieno di concitazione, che potevano osservare, dal divano rosso sulla spiaggia bianca fra nuvole e onde, quasi fosse un prisma sfaccettato, e ognuna delle facce corrispondesse a un luogo, un tempo, una realtà diversa, ma sempre facente parte di un Unico. Gabe sorrise all’Ondina scalza, che ricambiò quel sorriso con uno sguardo pieno d’amore.
-A volte mi sento distante da tutto questo... il Kraken, il Leviatano... quasi fosse davvero uno spettacolo annunciato per la stagione in corso, un film che ho già visto, ma del quale non ricordo il finale...
- Non è un film, purtroppo, sirenella - la interruppe Gabriel, facendosi di colpo serio - anche se è uno spettacolo che va in replica da... sempre.
- E stavolta tocca a noi cercare di scriverlo, quel finale...
- Già.
Gabe strinse la mano dell’Ondina, accarezzandole dolcemente le dita - Guarda! Lì... li vedi Grace? - indicò un punto del prisma sfaccettato, alla destra del centro. Gracelyn allungò la testa, ma non riusciva a distinguere nulla di particolare, solo un andirivieni di volti, un sommesso mormorio di pensieri, suoni e rumori mischiati a formare una strana sinfonia, quasi ipnotica.
- Lì - disse Gabe, avvicinando la testa a quella della Sirena. I suoi capelli avevano il profumo dell’Oceano in estate, quando i gabbiani volano verso il sole che sorge.
- Si, li vedo, ora... - disse Grace.
Rimasero per lunghi istanti in silenzio, osservando il bimbo che ascoltava concentrato, con gli occhi pieni di meraviglia, dondolando le gambe sulla panchina del parco, mentre la voce dell’uomo coi capelli bianchi leggeva - I Viaggi di Gulliver, riuscì a decifrare Grace, anche da quella distanza.
- Ci sono ancora padri che leggono libri ai loro figli! Guarda, è arrivato a pagina 50... - ridacchiò Gabe.
- Il nonno... è suo nonno - affermò Grace, con sicurezza. Gabe si voltò a fissarla, per un attimo, poi tornò a guardare in quel prisma, che conteneva un pianeta.
- E’ un mondo assurdo, ma a volte sorprendente...
- …e pieno di miracoli - disse Grace.
- Già - Gabe sorrise, e sollevò la mano destra, dove per un istante brillò una luminescenza diafana, fatta di tutti i colori, che parve prendere la forma di una spada di luce - e merita un happy ending.
- Si - Grace lo baciò sulla guancia, stringendosi ancora più stretta a lui.