13/08/10

http://casasonaglia.blogspot.com/

TRASLOCO!!!

Comunichiamo a tutti gli Amici che ci hanno seguiti nei Nostri Blog fino a questo momento, che Roberto e Samanta Sonaglia hanno finalmente traslocato nella loro Nuova Casa!

Il Blog, sul quale abbiamo trasferito tutti i post pubblicati su California Robi, California Samy, California Living, e sul quale d’ora in poi pubblicheremo le nuove cose, si chiama semplicemente CALIFORNIA, e lo trovate a questo url:

CALIFORNIA - Casa Sonaglia

Vi aspettiamo nella Nuova Casa per offrirvi ancora tanti momenti colorati in VerdeOro e Rosso, come la Passione che lega i due Sposini/Autori.

A rivederci in Casa Sonaglia!!!

Robi & Samy

28/05/10

Dalla finestra affacciata alla Luna – 28 Maggio 2010

FinestraLuna

 Ciuffi arruffati e dita impiastricciate,
con quei sorrisi che dipingono i corridoi
di rosa e celeste,
dalle finestre affacciate sul mare,
sentirli cantare di bambole e pennarelli,
poi motori e ombretti, e ancora
d'amore e vederli arrossire,
arrabbiati, turbati, ritratti dei volti
che abbiamo indossato,
nel corso del tempo,
spiando la vita
dalle finestre affacciate sul mondo,
giorni spietati e notti complici,
fiochi risvegli e sogni immensi,
balbettano sillabe profumate,
e non siamo soli,
non lo saremo mai,
nelle stanze silenziose d'attesa,
uniti dalle voci che
crescono in noi,
e abbiamo fatto nascere,
e vediamo fiorire,
e vedremo giocare
dalla finestra affacciata alla Luna.

28 Maggio 2010

24 Lune e 2 giri di Sole...

Ti Amo sempre di più

Bambina mia, mia Sposa.

Ti Amo Samanta

Buon Anniversario Amore mio

il Tuo

Roberto

08/04/10

Ring of Fire

Ring of Fire1Con quest’Anello
incendio il Giuramento dei Giorni Nuovi,
che già bruciano sopra
la Nostra pelle benedetta,
nell’Anima che sanguina Stelle Dorate
incastonate
fra caldi respiri di mani intrecciate,
sposate
dal Tempo che è stato,
nel gravido Oggi,
su Gocce d’Oceano e Chiare promesse.
 
Con questo Fuoco,
che presto sarà scritto al Presente,
i Testimoni del Messaggio
sigleranno un Patto
già fatto,
un ciondolo d’Argento
con lettere di VerdeRosa incise,
dondolerà alla Tua caviglia,
seguendo la linea calzata di Bianco,
profumata dalle Ore del Giorno,
e la melodia
degli Angeli,
e quella
degli Arcangeli.

E scriverai
il Mio Nome
sopra il Tuo Nome,
sospirando all’Alba fertile
nella fresca,
riparata,
protetta ombra del Giardino.

A Casa.

14/02/10

Ali d’Acqua - Finale

Angel & Mermaid 08 di Robi & Samy California

I loro piedi increduli saggiavano la matericità della Spiaggia, consci di essere lì, per la prima volta, e che era sabbia quella che toccavano, bianca e consistente. Pietra erosa dal vento dei millenni, per loro, solo per loro.
Gabe si voltò verso l’Oceano da cui erano appena emersi, e riconobbe le linee delle Onde, il cui canto silenzioso tante volte aveva ammirato, abbracciato al corpo astrale di Grace. L’Ondina era al suo fianco, e gli stringeva la mano. Tremava, quella mano, era di carne e sangue e tendini e muscoli. L’aveva stretta sotto il Golden Gate, l’aveva tenuta contro il suo petto, giurando di non lasciarla mai. Ora era stretta alla sua, nella Spiaggia Bianca dove le loro impronte, finalmente, lasciavano traccie sulla sabbia.
- Realtà... - mormorò l’Arcangelo, guardandosi intorno, con un sorriso pieno di emozione.
- ...fatta Sogno - concluse Gracelyn, stringendogli ancora più forte la mano.
Camminarono senza dire altro, verso il divano rosso, che li attendeva poco distante dalla battigia. Melville il gabbiano, appena tornato da un volo di ricognizione, li aspettava, e fece loro posto, mettendosi sulla spalliera. Si sedettero, senza che le loro mani si lasciassero.
Il tessuto - impossibile dire cosa fosse, anche se al tatto sembrava pelle - era morbido e fresco, come anche l’aria intorno a loro. Un Paradiso ritrovato, o scoperto per la prima volta. In cui rimanere per sempre.
- Ma siamo veramente qui? Con i nostri corpi materiali, voglio dire? - chiese Grace, toccando con le dita la mano di Gabriel, stretta nella sua.
- Si, siamo proprio qui - rispose l’Arcangelo - finalmente possiamo sentire la brezza che ci accarezza, portandoci il profumo del mare. E il rumore delle onde, ora, copre le parole sussurrate.
- Secondo te c’è un perché?
- Non lo so... non può essere un premio, perché il nostro compito non è ancora finito. Chissà cosa accadrà ora... - disse Gabe.
Gracelyn chiuse gli occhi, e sospirò profondamente - L’Apocalisse- rispose.
- Già, soprattutto se noi rimaniamo qui...
Il Kraken e il Leviatano erano scatenati, il pianeta si trovava sull’orlo di una crisi epocale, forse definitiva, e loro erano stati mandati per compiere una missione.
Gabe si alzò in piedi, e fissò l’Oceano. Sospirò a sua volta, poi si voltò verso l’Ondina, che era rimasta distesa sul divano, con le gambe piegate, e la testa poggiata sulle braccia, fissandolo con uno sguardo indefinibile.
- Michael mi ha dato la chiave per la soluzione - disse l’Arcangelo - un paradosso scientifico.
- Forse la nostra presenza qui è legata a questo... - mormorò Grace, quasi a se stessa.
Gabriel raccontò con pochi, veloci tratti quello che lui e il fratello Celeste si erano detti, a San Francisco, prima di volare per liberarla dalla stretta morsa delle rocce, tremila metri sotto la superficie del mare.
- Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. E il risultato è già scritto, i mostri non possono vincere. Quindi...
- Ci sono! - esclamò Gracelyn, stringendogli la mano - Dobbiamo scambiarci gli avversari! Tu il Kraken, io il Leviatano.
- Già, è proprio quello che mi ha suggerito Michael... - le rispose sorridendo Gabe.
- Si, ma dovremo farlo rimanendo qui. Saranno i nostri corpi astrali a raggiungere la dimensione terrestre e...
- ...e noi li guideremo. Da qui. Dalla Spiaggia Bianca.
Melville lanciò un grido, che ai due prescelti parve pieno di sardonica gioia.

Gracelyn osservava il corpo del mostro riverso di fronte a lei. Non era stato difficile. Aveva creato una serie di campi di forze che avevano imprigionato le bolle di energia del Leviatano, costringendole a implodere, e questo aveva esaurito le forze del colosso, che si era lentamente accartocciato su se stesso, fino a diventare una massa secca e contorta di materia inerte. Non era stato difficile, solo un po’ di sudore e un leggero mal di testa, che un soffio d’aria fresca avrebbe mandato via.

La Spada brillava nella mano di Gabriel, luminosa e tinteggiata di rosso. Il Kraken, col suo unico occhio squarciato e sanguinante, rantolava ai suoi piedi, cercando, con un ultimo guizzo, di capovolgere le sorti dello scontro.
- Non puoi combattere quello che non riesci a vedere - mormorò l’Arcangelo - e tu non hai mai visto la Luce, aberrazione infernale!
Falciò l’aria con la Lama Divina, tranciando di netto la testa del mostro, che rotolò via, lasciando dietro di sé una scia di liquido nerastro.
Gabriel alzò lo sguardo al Cielo, aprì le sue ali, e volò via, in un lampo di Luce bianca.

Chuck sedette sul ponte della barca, con la testa pesante, ma felice. Raphael e Michael, prima di volare via gli avevano spiegato cosa fosse accaduto, rassicurandolo sulle sorti di Gabe e Grace, e su quelle della sua città. Finalmente i pensieri non gli urlavano più nel cervello. Finalmente tutto era calmo, e sereno, e pacifico. A Sidney era ripresa la caotica vitalità di sempre. Pensò alla sua famiglia, che lo aspettava, poteva sentirli, con la coda della mente. Per loro, come per il resto del mondo, il tempo era tornato all’istante precedente il Disastro, cancellando ogni traccia delle devastazioni, anche dalla memoria. Chuck sorrise, e si preparò ad andare a casa.

C’era una cosa che Devereaux non aveva mai capito. E non avrebbe mai capito, ma di sicuro era importante, per comprendere la vera natura della sua enigmatica Direttrice: perché non l’aveva mai vista bere, e perché non portava mai scarpe coi tacchi alti.
- Mysteriès des femmes... - mormorò, scuotendo la testa.

- Tu lo sapevi! - sbottò Poseidon, battendo col pugno sul piano del terminale video, e lanciando una sonora risata, che riempì le stanze e i corridoi di Atlantide, facendo vibrare l’acqua dove Sirene e Tritoni nuotavano pigramente.
- Si. Ma è come un film che ti è piaciuto particolarmente - rispose il Capo - anche se conosci il finale, mantieni sempre una certa... sospensione dell’incredulità, per gustartelo ancora, e ancora, e ancora...
Poseidon socchiuse gli occhi, fissando la faccia dall’altra parte del video - Dimmi un po’ – disse - quando finirà il Mondo?
- Chiedi troppo - ridacchiò il Capo - domanda di riserva?
- Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?
- A fare qualche set di tennis? No, meglio di no... sono troppo vecchio per queste cose. Meglio un caffè.
- Si, ma solo se offri Tu! - disse il Signore di Atlantide, alzandosi dalla poltroncina.
- Mi sembra il minimo, dopo tutte le emozioni che ho fatto patire al tuo cuore stagionato!

Michael giocherellava coi bottoni della sua giacca di pelle nera -un regalo di Gabe, per la maturità - e rimaneva stranamente in silenzio.
- Cos’hai? - chiese Raphael - Mi sembri triste.
- Non è tristezza... - lo rassicurò il giovane Arcangelo - sto pensando...
L’Arcangelo Maggiore si avvicinò al compagno, e gli mise una mano sulla spalla - E a cosa pensi?
- All’Amore, Raphy, all’Amore... - disse Michael, sollevando lo sguardo. Il cielo era sgombro da nuvole, e il sole del primo pomeriggio si rifletteva sulla superficie della Baia. San Francisco era tornata alla sua consueta frenesia, tutte le tracce della distruzione arrecata dal Leviatano, scomparse, come mai avvenute.
- L’Amore, già... - mormorò Raphael, sorridendo - ...una cosa strana, dicono.
- Si, l’ho sentito dire anch’io. E vedo Gabriel come lo vive... ma non capisco... - disse il giovane, scuotendo le ali - Come funziona? Come ci si innamora? Tu che hai più esperienza, dimmi... sei mai stato...
Raphael lo interruppe con un cenno della mano, poi indicò un punto a un centinaio di metri da loro - Guarda! - disse.
Proprio sotto il Golden Gate, illuminata da un raggio di sole che si faceva spazio in mezzo all’ombra della struttura metallica, brillava una conchiglia a forma di stella.
- Bella... - disse Michael, con indifferenza.
- No - ribatté Raphael - è magnifica.
Michael guardò l’Arcangelo Maggiore, poi la conchiglia. E comprese: era vero. Non era bella. Era una magnifica meraviglia. Creata senza un apparente motivo, senza niente da capire. Meravigliosa e basta. Come l’Amore.

Le onde lambivano pigramente la sabbia della battigia. Gabe e Grace, abbracciati in silenzio sul divano, si scambiavano l’Amore con gli sguardi. Melville si alzò in volo, lasciandoli soli, e come era stato scritto, il Sole tramontò, e per la prima volta fu la Notte, accompagnata da melodie astrali cantate dalla Luna, con il suo coro di Stelle, sulla Spiaggia Bianca.

FINE

So It must be…


Auguri Samanta


Buon San Valentino

Amore mio


Ti Amo


il Tuo

Roberto

 

10/02/10

Ali d’Acqua XV

Water Wings XVIII

Emersione

Buio. Freddo. Gracelyn aprì gli occhi, ma nessuna luce spazzò via l’oscurità. Per un attimo credette di essere diventata cieca, e un brivido le corse lungo la schiena. Poi ricordò: il Kraken, la lotta, la pioggia di pietre che le rovinavano contro, seppellendola, schiacciandola sul fondo dell’Oceano.
Prima di perdere i sensi, l’Ondina si era istintivamente circondata di un campo di forza telecinetico. Quello le aveva salvato la vita, e continuava a proteggerla, sotto tonnellate di roccia, che la pressione a tremila metri di profondità saldava le une alle altre, come un tumulo.
Un debole richiamo, nella sua mente, l’aveva risvegliata. Una voce conosciuta, che la cercava, chiamandola, con disperata ostinazione. Chuck, il suo amico Chuck, che non si arrendeva, non voleva crederla morta, e questa sua fiducia quasi folle, aveva riportato indietro la Figlia dell’Oceano, persa nell’oblio.
Ma la sua condizione sembrava senza via d’uscita: le rocce, spinte dalla pressione dell’acqua, premevano sempre più contro il campo di forza, e Grace faceva sempre più fatica a mantenerlo saldo, e stabile. Presto anche la sua energia atlantidea non sarebbe più stata sufficiente a controbattere la pressione, il campo di forza avrebbe ceduto, e lei sarebbe morta.

Rumori, deboli, lontani eppure vicini. Come acciaio che cozza contro una superficie solida. E pensieri. Pensieri così potenti da accelerarle il battito del cuore. Gabriel. Il suo Gabriel. Era lì, poco distante, era lì, era venuto a salvarla. Non era morto, Gabriel! Riusciva a sentirlo, con il cuore più che con i sensi, sentiva la Spada di Luce che tagliava le rocce, cercando di creare un varco per raggiungerla. “Dio, anzi, Capo”, come avrebbe detto Gabe, “fa che resista, ti prego! Non farmi cedere proprio ora!”, pregava l’Ondina, col respiro mozzato, distesa col petto premuto contro la sabbia compatta e dura del fondo dell’Oceano.
Ma c’era un’altra Voce, oltre quella di Gabriel, oltre quella di Chuck. Grace riusciva a sentirla. E anche questa parlava al suo cuore, non al cervello, non le arrivava dai poteri telepatici, che erano il suo retaggio di Figlia del Mare. Le arrivava da Altrove. Era una Voce simile a quella di Gabe, ma più tranquilla, più consapevole, più matura. E non parlava a parole. Parlava per immagini. Grace vide scorrere davanti ai suoi occhi Poseidon e Atlantide, San Francisco, il diner, Gabriel, il Kraken, vide l’Oceano e la terra, le città e le persone, Chuck e Devereaux, vide il cielo e le nuvole, e la Spiaggia Bianca.
Se avesse ceduto, tutto sarebbe andato perso, tutto quello per cui ogni atomo del suo corpo, ogni particella intangibile della sua anima, era nata, e aveva vissuto. “Resisti”, sembrava dire quella voce, “combatti, non cedere. Non sei sola, non lo sei mai stata. Tutto esisteva prima di te, tutto continuerà ad esistere con te. Non arrenderti”.
Grace chiuse gli occhi, e strinse i denti. Il campo di forza tremò leggermente. Il rumore della Lama di Gabriel sembrava più vicino, ora. Non poteva cedere. E non per il mondo, non per l’Oceano, per la Spiaggia Bianca e nemmeno per Gabriel. Non poteva cedere per se stessa, perché tutte quelle cose non avrebbero avuto senso, senza di lei.
Gemette e urlò, stringendo i denti fino a farsi male, le unghie che affondavano nella carne dei palmi, e le vene del collo e sulle tempie sembravano sul punto di esplodere. Provava dolore in ogni muscolo e tendine, gocce di sudore le imperlavano la fronte, scendendo lungo il viso, le ossa erano sul punto di spezzarsi, mentre ogni molecola del suo essere dava energia al campo di forza, che tremava e oscillava, sotto la pressione delle rocce.
Si sentì morire più e più volte, la testa piena di quella Voce, dolce ma forte e imperiosa. E le immagini iniziavano a vorticare nel suo cervello come un caleidoscopio folle.
Si sentì morire, ma non cedette. E quando un lampo di luce, e un rumore sordo di rocce scagliate via con forza, le balenarono davanti agli occhi e nelle orecchie, e vide il volto del suo Arcangelo, stravolto dall’assoluta gioia di vederla ancora, ancora viva, un sorriso le piegò le labbra, e mormorò il nome di Gabriel, prima di perdere i sensi.

- Devi portarla in superficie - disse Raphael, poggiando una mano sulla spalla di Gabe - ora ha bisogno di Aria, e di Luce.
Gabriel annuì, e abbracciò l’Ondina, stringendola come fosse la cosa più preziosa del mondo.
- Grazie Raphael... - mormorò - senza di te, e Michael...
L’Arcangelo Maggiore sorrise, battendogli ancora la mano sulla spalla - Vai ora, lei ha bisogno d’Aria e di Luce.
Gabe ricambiò il sorriso, e si lanciò verso l’altro, stringendo Grace, ancora priva di sensi.
Salirono veloci lungo le correnti, mentre la brillantezza del sole, che illuminava di raggi diafani la superficie dell’Oceano, rifrangendosi in profondità, si avvicinava, simile all’Occhio del Capo, che li attendeva, per dar loro il bentornato.
Salirono quasi senza peso, e mentre la pressione diminuiva, e la luce aumentava, Grace si svegliò, vide quella luce sopra di lei, sentì l’abbraccio forte e familiare dell’Arcangelo stringerla e proteggerla, lo guardò negli occhi, e comprese di essere viva.
Infine emersero, rompendo l’acqua di superficie come una barriera troppo tenue per tenerli ancora a lungo imprigionati, e furono nella Luce, e nell’Aria.
La Luce dorata e l’Aria piena di profumi e armonia della Spiaggia Bianca. Si guardarono intorno, sorpresi, poi si fissarono, mentre si dirigevano lentamente, trasportati dal placido moto delle onde, l’una nelle braccia dell’altro, verso la battigia.
Quando i loro piedi materici toccarono per la prima volta la sabbia lattea della Spiaggia, dove tante volte le loro essenze spirituali si erano incontrate, si presero per mano, e si sentirono a casa.

05/02/10

Ali d’Acqua XIV

Water Wings XVIIa

I Messaggeri

- Guarda che roba. L’ho sempre detto che le scienze esatte non sono il tuo forte!
Michael, a braccia incrociate, ridacchiava, spostando lo sguardo da una bolla all’altra: quella che conteneva la Spada di Luce, il cui bagliore sembrava continuamente sul punto di spegnersi, ma sempre tornava a brillare, di luminosità diafana; quella dentro la quale Gabriel era imprigionato, apparentemente privo di sensi. Alle prime parole dell’uomo vestito di nero, però, l’Arcangelo sollevò lo sguardo, e lo fissò in tralice, socchiudendo gli occhi, attraverso l’opacità della bolla.
- Michael..!?
- Dolce risveglio, fratellino. Che ci fai lì dentro? - Gabriel non si mosse, e non rispose, -E come mai la tua Spada è laggiù?- chiese, indicando la seconda bolla.
- Il Leviatano... - mormorò Gabe, che si sentiva svuotato di ogni energia, e anche rispondere richiedeva un’enorme fatica.
- Ha fatto un bel casino, in città, si... dovresti vedere che roba! Ma non hai risposto alla mia domanda. Perché non hai la Spada con te?
- Lui... me l’ha strappata via e...
Michael si avvicinò alla bolla che conteneva l’Arma divina, e toccò la superficie traslucida - ”Strappata via”, che assurdità! Tanto valeva dire che ti aveva strappato via il cuore. Questa - disse, indicando la Lama dorata - è parte di te, Gabe. L’hai dimenticato? Non è tua. E’ te. Come il tuo cuore, appunto... anche se qui ci sarebbe da filosofeggiare un po’. Come sta Gracelyn?
L’Arcangelo lo fissò per alcuni istanti, mentre una scia di pensieri gli attraversava la mente. Ricordi, intuizioni, concetti assimilati e apparentemente dimenticati, ma invece radicati profondamente nelle pieghe del suo Io. Infine comprese. Chiuse gli occhi e si concentrò. La Spada, nella bolla di energia, iniziò a brillare sempre più forte, una luce che si rifrangeva sulle pareti curve, e ritornava all’interno della Lama, poi, con un’esplosione di luce accecante, l’Arma svanì, e si materializzò quasi istantaneamente nella mano destra di Gabriel.
- Alla buon’ora! - ridacchiò Michael - Fisica elementare, fratellino. Ora esci da quella palla di muco infernale!
Gabriel sorrise, e con un rapido colpo di Lama, fendette la superficie della sfera, che parve esplodere, o svanire in un lampo giallo, lasciandolo libero di poggiare di nuovo i piedi a terra. Si stiracchiò, aprì il palmo della mano, e la Spada ritornò a fluire dentro il suo essere, con una pioggia di scintille dorate.
- E ora? - chiese.
- Hai una missione da compiere, no? Anzi, due. Liberare la tua Ondina, e insieme spaccare il culo a quei due mostriciattoli venuti dall’Inferno.
- Si, ma... non ho poteri contro il Leviatano... e anche Gracelyn... il Kraken sembra inibire le sue capacità telepatiche, noi...
Michael sollevò l’indice, e aggrottò le sopracciglia. I suoi occhi azzurri brillarono - Proprietà basilare dell’addizione: la somma non cambia se cambi...
- ...l’ordine dei fattori! - esclamò Gabe, sorridendo - Come ho fatto a non pensarci!
Michael gli batté una mano sulla spalla - Tu sei quello bravo in Storia, no? Io me la sono sempre cavata meglio nelle scienze, a scuola.
Gabe gli lanciò un’occhiata di traverso - Già, ma ero io che ti passavo i compiti in classe, se non ricordo male.
- Sono pigro, lo sai. Chissà, forse per questo il Capo sceglie sempre te, per le missioni divertenti. Andiamo ora, il volo fino all’Australia è lungo.
Michael sorrise ancora una volta, poi dispiegò le grandi ali bianche. Gabriel si concentrò, e una luminescenza diafana iniziò a scintillare sulle sue spalle. I due fratelli si alzarono nell’aria piena di polvere, che iniziava finalmente a posarsi.

Chuck fissava il punto in cui doveva trovarsi Sidney, laggiù, oltre l’orizzonte. Nel mezzo dell’Oceano era difficile avere riferimenti precisi, senza strumenti, ma le sue facoltà mentali gli rimandavano eco di urla, lamenti, agitazione, tutte concentrate in quel punto. Cercava di non pensare emozionalmente, di elaborare solo i dati, per non impazzire. Aveva perso il contatto con Grace da un paio d’ore ormai, e disperava la sua amica fosse ancora viva. Non sapeva cosa fare, se dirigere la barca verso la costa, cercare di contattare Deveraux, attendere lì, sperando succedesse qualcosa. La domanda muta che ogni tanto affiorava sulle sue labbra, veniva ricacciata a forza nei meandri del cervello.
- La stai cercando con questa... - una voce, dietro di lui. Chuck si voltò, fissando la figura alta ed elegante, oltre il bordo della barca, che rimaneva in piedi sull’Oceano, quasi sospesa sopra la superficie dell’acqua. L’uomo, di un’età imprecisata, ma non più giovanissimo, si batteva l’indice contro la tempia - Dovresti cercarla con questo - concluse, poggiando la mano sul cuore.
Chuck non chiese nulla. Da quando conosceva l’Ondina si era abituato a strani eventi, e ancor più strane apparizioni. Sentiva solo che di quell’uomo poteva fidarsi.
La figura alta e potente si avvicinò, camminando sull’acqua, poi si sollevò lentamente, e con una leggerezza innaturale, si posò sul ponte della barca, di fronte a lui. Gli poggiò la mano sul petto e disse:
- Lei è viva, e ha bisogno di tutto l’aiuto possibile. Chiamala. Svegliala.
- Si, ma... poi? Cosa posso fare poi? Lei è laggiù, tremila metri sotto l’Oceano. Io...
- A questo - lo interruppe l’uomo - ci ha già pensato Qualcun altro. Chiamala, Chuck, svegliala. Al resto provvederanno i rinforzi, che stanno già arrivando.
Raphael sollevò la testa, guardando a est un punto del cielo, dove le nuvole iniziavano a diradarsi, e la luce del sole filtrava, rifratta in mille raggi brillanti, e sorrise.

28/01/10

Ali d’Acqua XIII

Water Wings XVI Ground Zero 1

Ground Zero

Tim non aveva mai visto tanta polvere, in vita sua, sentito tanto rumore tutto insieme -sirene, urla, lamenti, scricchiolii, sordi boati, schianti come di vetri che esplodono - e non aveva mai avuto così tanta paura. Non quella che lo assaliva a volte, di notte, quando tutto diventava silenzioso e scuro, e certe ombre nella sua cameretta si allungavano, minacciando di fargli il solletico ai piedi. Quella era una paura che bastava chiudere gli occhi, e sforzarsi di mettersi a dormire, per scacciarla. Ora provava il terrore di rimanere per sempre solo. Quando tutto il centro di San Francisco esplose, Tim fu sbattuto contro un’auto e perse i sensi. Quando si risvegliò, sua mamma era scomparsa.
Si aggirava come un sonnambulo fra i detriti e le macerie, mentre la nube di polvere densa gli impediva di vedere a più di un paio di metri, e gli entrava negli occhi e nei polmoni, facendolo starnutire. Strane figure gli passavano accanto, correndo, o barcollando, alcune coi vestiti strappati, altre coperte di sangue, tutte rivestite di una patina di polvere grigiastra, che li faceva sembrare come quei personaggi dei videogame dell’orrore.
Poi c’erano i poliziotti, i pompieri, che correvano qua e là, e Tim non capiva perché non lo vedessero, e anzi, quando cercava di fermane uno, questo gli dava una carezza, o uno scappellotto, biascicava qualche parola e correva via di nuovo, verso il punto in cui il fumo era più denso.
Ormai era chiaro, non avrebbe più rivisto la sua mamma. Si mise a sedere sul bordo del marciapiede, poggiando il mento sulle mani, un’espressione assente sul viso, mentre i rumori intorno a lui sembravano allontanarsi, quasi risucchiati dalla nuvola di polvere che, lentamente, si abbassava a livello della strada.
Sarebbe rimasto solo, per sempre, per sempre sempre. Una lacrima iniziò a rigargli la guancia, scivolando e portando via la polvere, mentre un’altra iniziò a formarsi sul bordo dell’occhio.
- Come ti chiami? - una voce dolce, e la sensazione di una mano forte e salda sulla sua spalla. Tim alzò la testa, piegandola leggermente indietro.
- Tim - disse, rivolto alla figura alta e vestita di nero che lo sovrastava.
- Ti sei perso?
- Si... no... si, mia mamma...
L’uomo alto e vestito di nero indicò un punto, alla loro sinistra, dove la polvere iniziava a diradarsi. Tim guardò in quella direzione, e per un momento il suo cuore smise di battere.
- Mamma! – urlò, scattando in piedi e correndo verso la figura che stava uscendo barcollando, da quell’inferno grigiastro. Si fermò un attimo, prima di raggiungerla, voltandosi verso l’uomo in nero. Lo fissò per un attimo, come studiandolo. Poi gli sorrise, e mormorò un “grazie”, a voce così bassa che probabilmente quell’uomo nemmeno sentì.
Michael ricambio il sorriso, e senza aprire le labbra, rispose con un “mio dovere”, che Tim sentì benissimo, dentro il suo cuore, più che nella testa.
Poi la figura vestita di nero si voltò e, fischiettando una canzone di Jimi Hendrix, si addentrò nella nube di polvere, verso l’epicentro del disastro.

23/01/10

Ali d’Acqua XII

Spiaggia BN

La spiaggia deserta

di Robi & Samy California

Melville planò con grazia sulla battigia, saltellando una, due volte, finché l’inerzia dell’atterraggio non fu assorbita dalla sabbia, quindi scosse le piume della testa e si lisciò le ali, con rapidi colpi di becco finché, soddisfatto, si fermò a osservare la spiaggia, e il mare di fronte a lui.
Gonfiò il piumaggio, faceva fresco a quell’ora, che non era ancora sera ma non era nemmeno più giorno, e l’immobilità dell’aria, la piatta superficie dell’Oceano, e la distesa di sabbia bianca ai suoi lati, che sembrava infinita, contribuivano ad accrescere quella sensazione di freddo, che iniziava a insinuarsi fra le sue ossa cave. Quella era l’ora in cui, di solito, arrivavano i suoi amici, i due buffi umani che si tenevano sempre per mano, e sedevano sul divano rosso a ridosso del bagnasciuga, emettendo strani suoni che sembravano una sorta di linguaggio, ma che Melville non riusciva a comprendere. Solo che, stasera, i suoi amici non c’erano, e il gabbiano intuiva forse non sarebbero venuti.
Melville aveva sempre abitato la spiaggia, che esisteva da sempre, a quanto ricordava, come da sempre c’era lui, lì, ad osservarla formarsi. Quando lui arrivò, la spiaggia era un deserto di immagini sfocate, fatto solo di rocce, gelide come l’acqua del mare che le circondava. L’alito caldo del vento che nasceva dalle ali dell’Arcangelo ancora non c’era, come non c’erano, a formare le onde, le correnti che la Figlia dell’Oceano alzava fino al cielo.
Arrivarono lentamente, e ai primi soffi di vento le rocce lasciarono spazio a un lembo di sabbia bianca, mettendosi ai lati, per far sì che le onde modellassero la spiaggia, in attesa che i suoi amici, finalmente, arrivassero e ne prendessero possesso. Perché era stata creata a loro immagine, la spiaggia, prima ancora che loro fossero creati, e per loro, e loro soltanto, esisteva.
Li vide, un giorno di inizio estate, che si scambiavano sguardi e sorrisi tenendosi le mani, seduti su una di quelle rocce. C’erano ancora le ali sulla schiena di Lui, e la coda con la pinna, al posto delle gambe di Lei. Era l’inizio di una magia, che presto divenne amore, un amore che li avrebbe portati a rinunciare a parte della loro natura eccezionale, ma gli avrebbe donato la possibilità di vivere l’Uno per l’Altra. E quella spiaggia sarebbe esistita finché loro sarebbero stati in grado di raggiungerla.
Il che rendeva Melville in qualche modo fiducioso: anche se stasera i suoi amici non si erano visti, questo non significava non sarebbero più venuti, sulla spiaggia bianca. Forse erano impegnati altrove, ma la spiaggia esisteva ancora. Ed era la loro spiaggia. Altri posti simili, o completamente differenti, esistevano da altre parti, per altri amici, di altri gabbiani -Melville tendeva a rapportare a sé ogni forma di vita, che non fossero i suoi amici, per questo ragionava così - lo sapeva, ma quella spiaggia bianca era solo per quei due che si tenevano per mano, sedendo sul divano rosso a ridosso del mare.
Melville spiccò un salto, e volò fino al divano, dove si adagiò, mettendosi comodo. Aveva visto formarsi quel divano, lentamente lo aveva osservato sorgere dalla sabbia, in attesa che i suoi amici potessero infine sedervi, e aveva visto il mare gonfiarsi, e il cielo coprirsi di nuvole chiare, mentre quel momento si avvicinava. Avrebbe custodito lui quel posto, finché i suoi amici non fossero tornati, si sarebbe seduto lui sul divano rosso, aspettando il loro ritorno.
Mentre seguiva il filo dei suoi pensieri, Melville sentì, o meglio, percepì, un cambiamento nell’aria. Si era alzato un soffio di vento, caldo, che proveniva dalla spiaggia, diretto verso la superficie del mare, che iniziava a incresparsi. Il vento correva forte sopra di lui, portando con sé le ombre veloci provenienti dalla spiaggia, e alzando lo sguardo, il gabbiano vide che le nuvole si stavano addensando, ad est, e lentamente si abbassavano sull’Oceano. Il mare si agitava sotto il violento soffio del vento, quasi volesse accelerare il moto delle onde, aumentandone il volume, l’altezza e l’intensità.
Pareva quasi che onde e nuvole cercassero di toccarsi: un contatto, un abbraccio.
Melville gonfiò le piume, bianche come la sabbia della spiaggia, e sorrise. Intese quel vento come un richiamo da parte dei suoi amici: non erano lì, ma si cercavano, onde e nuvole si compattavano abbracciandosi nello stesso modo in cui lui aveva tante volte visto fare l’Arcangelo e l’Ondina.
I suoi amici sarebbero tornati, ne era sicuro…
Scosse le ali sorridendo, e le schiuse, alzandosi in volo verso l’orizzonte.

17/01/10

Ali d’Acqua XI

newspaper 1

Breaking News

San Francisco-
Ultimi aggiornamenti dalla Costa Ovest: tutte le comunicazioni da San Francisco sono interrotte, impossibile raggiungere la zona con qualsiasi mezzo, le notizie che ci arrivano si basano su comunicati ufficiali dell’Ufficio del Segretario di Stato. Fra le ipotizzabili cause del disastro, un terremoto di magnitudo 9,5, una serie di esplosioni che hanno interessato varie zone della città, sulla cui natura ancora non è possibile avere ulteriori informazioni. Non si conosce il numero delle vittime né è possibile avere stime precise circa l’entità del disastro, sulle quali le fonti ufficiali mantengono ancora uno stretto riserbo. L’evento che ha interessato San Francisco ha avuto ripercussioni su tutta la Costa Ovest, e scosse sismiche di lieve intensità sono state registrate anche nella Columbia Britannica, e in Alaska. Ulteriori approfondimenti nelle successive edizioni.

 Sidney-
Un’onda anomala di proporzioni eccezionali ha colpito la città di Sidney, provocando quello che già alcuni organi di informazione etichettano come l’evento “Fine del Mondo”. L’onda, che ha trascinato nella sua corsa verso l’entroterra tutto quello che incontrava sul proprio percorso, si è abbattuta sulla metropoli australiana intorno alle 9.46 del mattino, provocando danni sulla cui entità è ancora impossibile avere valutazioni anche approssimative, ma se i dati venissero confermati, si prospetterebbe uno scenario di devastazione di proporzioni mai viste. Attendiamo aggiornamenti, che comunicheremo in tempo reale con edizioni speciali dei nostri notiziari.

13/01/10

Ali d’Acqua X – Parte Seconda

Water Wings XIIa

 

La Fine del Domani? 

Parte Seconda: l’ultima onda

Devereaux capì subito che la situazione era giunta al punto di non ritorno. Non aveva mai visto Grace così tesa, e preoccupata. In realtà non l’aveva mai vista preoccupata, al punto che a volte pensava fosse una specie di androide, come quelli dei racconti di Asimov, o i simulacri di Dick, personaggi che riflettevano l’emozionalità attraverso calcoli binari. Naturalmente non era consapevole che quello schermo di saldo autocontrollo era mantenuto in piedi dai poteri atlantidei dell’Ondina, una barriera che doveva proteggere la sua natura oceanica.
- Dovremo mettere in moto tutta la struttura - disse, dando un’ultima occhiata ai grafici di rilevazione che Grace aveva tratto dalle registrazioni effettuate in mare aperto, durante il suo primo incontro col Kraken - e non sarà una cosa possibile in tempi brevi.
- Dovrà esserlo - intervenne la ragazza - perché se i calcoli sono esatti, questa anomalia raggiungerà piena potenza entro due giorni.
Devereaux si grattò il mento, un gesto abituale, che denotava un momento di dubbio. Poi si lisciò indietro il ciuffo di capelli brizzolati.
- Che cosa c’è laggiù, Grace? Da come ne parli sembra quasi un... démone... ne cest pas?
Grace lo fisso per lunghi istanti, senza rispondere. Poi batté l’indice sui tabulati, sparsi sulla superficie della scrivania.
- Inizia a metterti in contatto con ogni cellula dell’organizzazione, e quando le hai contattate tutte, passa ad avvertire gli altri, senza dimenticarne nessuno. Non sappiamo dove l’anomalia colpirà la prossima volta, ma ti assicuro che sarà un disastro. Cerchiamo almeno di limitare i danni.
Devereaux annuì, tornando a grattarsi il mento, mentre Gacelyn usciva dalla stanza, con passi veloci e nervosi.

- Tu sei pazza! Non ti è ancora bastato?
Chuck era visibilmente agitato, e non lo nascondeva, gesticolando in direzione di Grace, con la concitazione di un ragazzino che sa di aver ragione, ma non trova credito presso l’interlocutore.
- Vuoi tornare laggiù, da sola?
- Non da sola, Chuck, con te - rispose l’Ondina, sorridendo. Era seduta su una comoda poltrona di pelle color cobalto, le gambe accavallate, fasciate in pantaloni neri attillati.
- Mi pare l’ultima volta non sia servito a molto, se non quasi a rimetterci la pinna, Grace!
- Non ho più la pinna da un pezzo, Chuck, e non temere, so quello che faccio.
Chuck si piazzò di fronte a lei, con le mani sui fianchi, -Come sempre, certo. Ma almeno hai avvertito Gabriel?
Gracelyn aggrottò le sopracciglia – No - disse. Da qualche ora non riusciva a stabilire un contatto telepatico col suo Arcangelo, e questo contribuiva ad aumentare la sua preoccupazione. La terrorizzava, a dirla tutta - Ma anche Gabriel sa il fatto suo. Prepara la barca, Chuck, fra un’ora partiamo.
L’aborigeno sollevò gli occhi al cielo, ma non disse nulla.

Nessuna strategia era servita, nessuna mossa o contromisura, per non parlare dei suoi poteri, che parevano inutili contro il Kraken.
Grace aveva tentato un attacco psicocinetico, come la prima volta, ma non era riuscita a penetrare l’aura nera di glaciale assenza emotiva del Mostro. Non era nemmeno sicura il Kraken avesse una coscienza, addirittura un cervello, dentro il quale introdursi con i poteri mentali.
Aveva quindi pensato di sfruttare la sua forza, e il controllo dell’elemento marino, creando onde d’urto o, ruotando su se stessa, dando origine a vortici che muovevano tonnellate di acqua, lanciandole contro la massa scura del Kraken, ma senza sortire effetto.
La cosa più inquietante era la totale immobilità del mostro, durante i suoi attacchi: il Kraken non faceva nulla per controbattere i colpi mentali, e quelli fisici, limitandosi a rimanere immobile, sul fondo dell’Oceano, fissandola con quel suo occhio giallo, sinistro, allucinante.
Chuck, a bordo della barca, seguiva la lotta attraverso i sonar e gli scanner sottomarini, interpretando le onde sinusoidali e le termografie, come fossero nitide immagini assolutamente leggibili. Gocce di sudore gli imperlavano la fronte, mentre cercava di mantenere il più saldamente possibile un contatto telepatico con l’Ondina, che si trovava tremila metri sotto di lui, nelle profondità dell’Oceano.
Grace era allo stremo. Durante tutta la lotta aveva cercato di mettersi in contatto con Gabriel, ma nessuna risposta era giunta dal suo Arcangelo. Sapeva cosa significasse, ma cercava di negarlo, perché non avrebbe potuto concepire un futuro senza di lui. Chiuse gli occhi, concentrandosi sull’immagine del volto di Gabriel, quando sorrideva sornione, sedendo abbracciato a lei, sul divano rosso nella Spiaggia Bianca. E questo pensiero fu la sua fine.
Il Kraken si sollevò improvvisamente dal fondo dell’oceano, spostando una massa d’acqua grande come un isola, che iniziò a risalire in superficie, provocando un vuoto di pressione nella scia. Grace fu improvvisamente risucchiata in quel vuoto, e poi sbattuta contro le rocce taglienti che ricoprivano il fondale, mentre una scura nuvola di sabbia l’avvolgeva, oscurandole la visuale.
Il Kraken iniziò lentamente a salire in superficie, seguendo la massa d’acqua, e battendo coi tentacoli le rocce tutt’intorno. Colpi che staccavano massi e detriti, pesanti e giganteschi, che iniziarono a franare lungo l’irregolare fondale, colpendo Grace, impossibilitata a schivarli.
Un detrito la centrò in piena fronte, e in quel momento, in superficie, Chuck perse il contatto con lei.
Grace giaceva sul fondo del mare, mentre le rocce le cadevano addosso, formando lentamente quello che pareva un tumulo funebre, e aumentava in altezza e dimensioni. Finché l’Ondina sparì, seppellita da tonnellate di roccia, che la pressione delle profondità oceaniche saldava, rendendo quel tumulo sempre più simile a una tomba.
Infine fu il silenzio assoluto, e l’assenza di ogni moto, sul fondo dell’oceano. Un silenzio e un’immobilità che sapevano di morte.
In superficie Chuck osservava, paralizzato dal terrore, l’onda anomala alta sei metri e in continua crescita, che si muoveva a velocità pazzesca in direzione di Sidney. E dietro di essa, una figura scura che pareva uscita da un incubo, sembrava guidarne il percorso.

06/01/10

Ali d’Acqua X – Parte Prima

Water Wings XII

La Fine del Domani?

Parte Prima: la caduta dell’Arcangelo

Rivedere i particolari del disastro spezzettati in fotografie dai colori vividi e netti, creava il necessario distacco per poterne discutere, e di questo Gabe fu grato alla sua fedele Nikon.
Era in piedi, con una mano appoggiata sulla scrivania del Capo, e mentre parlava con lui, l’occhio cadeva ora a una ora all’altra delle fotografie che aveva appena finito di stampare. Steve invece fissava quelle immagini, quasi ipnotizzato. In tanti anni di mestiere non aveva mai visto una rappresentazione dell’orrore così iperrealista.
- Che dicono le autorità? - chiese, giocherellando con la stilografica, che batteva ritmicamente sul piano del tavolo in vetro.
- Brancolano nel buio - rispose Gabe - tanto per usare una frase che, in questo caso, mi pare azzeccatissima.
Steve sollevò lo sguardo dalle foto e fissò il fotografo. Gabe ricambiò lo sguardo.
- Lascia stare – continuò - piuttosto, ci sono dati precisi sul numero delle vittime, l’entità del disastro?
Il Capo volse lo sguardo in direzione della finestra alla sua sinistra, di là dalla quale San Francisco si stagliava netta, nella luce del primo pomeriggio - Non ancora, ma ci aggiriamo sulle 350...
- Mio Capo... - mormorò Gabriel. Steve lo guardò di nuovo.
- Che hai detto?
- Nulla - rispose l’Arcangelo, mordendosi il labbro, per essersi lasciato sfuggire quell’esclamazione - Cosa facciamo con queste?- continuò, indicando le foto.
- Direi... - iniziò Steve, interrompendosi immediatamente, mentre una sorda vibrazione che aumentava sempre di più, attraversava il pavimento e i muri della stanza. Gabe si appoggiò al muro, e la vibrazione gli trapassò la schiena, sempre più forte, mentre tutto nell’ufficio sembrava tremare, e sdoppiarsi. Steve aveva gli occhi spalancati e le mani strette sul bordo della scrivania. Poi, come era iniziata, la vibrazione finì, e i due si fissarono negli occhi.
- Una piccola scossa di terremoto - mormorò Steve, sospirando - la solita Frisco...
- Già - disse Gabe, imitando un’ombra di sorriso. Perché sapeva che era un’altra, la reale causa di quella vibrazione: il Leviatano era entrato in azione.

Volò con tutta la velocità che le sue ali divine permettevano, e in pochi secondi raggiunse il centro della città. E lo vide. Il Leviatano rimaneva nella propria dimensione, leggermente sfalsata rispetto a quella del piano di realtà che conteneva la Terra. A vederlo così -e solo gli occhi dell’Arcangelo potevano scorgere i diversi piani dimensionali contemporaneamente- sembrava una dissolvenza incrociata di immagini: due sequenze di filmati sovrapposte di cui una, la città con le sue frenetiche attività, il traffico, la gente, gli edifici, più nitida, e contrastata; l’altra, la massa grigiastra e viscida del Leviatano, con le bolle di antimateria che pulsavano come bubboni sul punto di esplodere, trasparente ed eterea.
Gabriel si era posto sul limite dei due piani di realtà, e anche lui rimaneva invisibile agli occhi indiscreti dei Sanfranciscani, e di ogni apparato tecnologico in grado di riprendere la scena. C’era poco tempo da perdere, e lo sapeva: il Leviatano stava materializzandosi nella dimensione terrena, con le sue bolle letali in procinto di annullare istantaneamente pezzi di San Francisco, ripetendo la scena che aveva fotografato, qualche ora prima, ma in una più vasta area della città.
Senza pensarci, materializzò la Spada di Luce, che brillò diafana nella sua mano, e si preparò ad attaccare. Pensò a Grace, e si chiese dove fosse, e cosa stesse facendo in quel momento. Il loro legame telepatico gli riportava sensazioni contrastanti: risoluzione, decisione, paura. L’Ondina stava probabilmente approntando la sua linea di difesa contro il Kraken. Ma più di questo, Gabriel nn riuscì a sentire.
Si lanciò contro la massa grigia del Leviatano, che si muoveva bulbosa e lenta, fra i due piani di realtà, e affondò la spada al centro della Cosa, dove secondo logica dovevano esserci organi vitali. Ma il Leviatano non era un essere vivente, non nel senso canonico della parola, e l’attacco dell’Arcangelo non sortì altro effetto, se non quello di aumentare la massa del Mostro.
Gabriel si allontanò di qualche metro, fissando quell’oscenità diventare più grande, le bolle di antimateria che rilucevano di un lucore giallastro, pulsando come bozzoli contenenti forme di vita inimmaginabili. Era quasi affascinato da quella visione, ipnotizzato, un senso di nausea che sfociava in angoli nascosti della sua mente, quelli che, nonostante la sua natura Divina, non riuscivano a comprendere la piena ed esatta natura del Male.
Quell’esitazione di un momento fu la sua fine. Il Leviatano lanciò una bolla di energia, che avvolse Gabriel, senza dargli il tempo di reagire, mentre un’altra bolla imprigionava la Spada di Luce, allontanandola da lui. L’Arcangelo fu attraversato da onde di puro dolore, mentre la bolla diventava solida, chiudendosi intorno a lui. Per un attimo fu come se il fuoco dell’Inferno incendiasse ogni atomo del suo essere semidivino, e in quell’attimo il Messaggero della Luce credette che il Capo, quello che ha visto tutto, e tutto previsto, lo avesse abbandonato, o ingannato, o peggio.
Per un attimo. Perché subito la coscienza di sé abbandonò l’Arcangelo, e Gabriel si accasciò all’interno della sfera, come una marionetta priva di vita a cui avessero tagliato i fili.
Da qualche parte in Paradiso, una Luce si spense.

 

California Robi di Roberto Sonaglia e tutti i contenuti sono di proprietà dell'Autore. Ogni riproduzione non autorizzata sarà perseguita ai sensi della Legge 633, 22/4/41 e successive modifiche.