Gabriel prende il caffè
Nemmeno il tempo che il caffè finisse di salire, riempendo la moka, e il telefono squillò, richiamando Gabe all’ordine del reale. Allungò distrattamente la mano sul tavolo, tastando in cerca del cellulare, mentre gli ultimi brandelli del sogno scivolavano via dietro le palpebre socchiuse.
- Pronto? - disse, con la voce impastata delle 7.00 del mattino.
- Ancora a casa? - disse la voce bassa e ferma, esplodendo dal Nokia, che Gabe allontanò istintivamente dall’orecchio. Come faceva a essere sempre così energico, a quell’ora, il Capo, era una di quelle domande che, probabilmente, non avrebbero mai avuto risposta.
- Che vuoi, Steve?
- Muoviti a caricare la Nikon e vai a questo indirizzo...
- Aspetta... dove cazzo... - mormorò Gabe, alzandosi dalla sedia e cercando un pezzo di carta e una penna, che trovò, infine, al loro posto assegnato, sulla credenza verde di fronte al frigorifero.
- Dimmi Steve... - riprese, tornando a sedere, poggiando il foglio sulla coscia, in attesa che il Capo gli dettasse l’indirizzo.
- Gabe - disse Steve, con un tono serio, una volta date al suo fotografo di fiducia, e amico di lunga data, tutte le indicazioni necessarie - è una brutta storia. Preparati...
Gabe si umettò le labbra con la lingua, già pregustando il primo dei due caffè del mattino, con relative sigarette a seguire - Non sono un pelomoscio, Capo. Direi che ne ho viste, nel mio mestiere, no?
- Non così, Gabe, credimi.
- Metterò gli occhiali da sole, Steve, non preoccuparti per me - concluse il fotografo, chiudendo la conversazione.
Mentre si versava il caffè nero bollente nella tazzina di vetro, preparò mentalmente la lista delle cose da prendere: la Nikon, almeno cinque rullini da 24 scatti, i flash, perché anche in esterni possono servire, le sigarette e due bottiglie di acqua. Prevedeva sarebbe rimasto fuori fino a sera, e non sapeva se avrebbe avuto tempo per cercare un supermercato. Terminato il lavoro per Steve, sarebbe iniziato quello per l’altro Capo. Quello che sa tutto, ma non dice nulla, perché le cose devono andare liberamente per il loro verso. Una verità che un Angelo impara ad accettare da subito, specie uno in missione, come Gabriel.
Mentre si accendeva la prima sigaretta, chiuse gli occhi, e ogni atomo del suo essere si scisse, in materia ed energia. La materia rimase seduta sulla sedia, fumando lentamente la Marlboro, l’energia volò fino a una nuvola, che somigliava a uno scoglio, dove un’Ondina salutò il suo Angelo con un sorriso d’arcobaleno.
Grace conferma un appuntamento
Le notizie che arrivavano da varie parti dell’universo marino non erano incoraggianti. Erano pessime, per dirla tutta. Grace scorreva le pagine sullo schermo 17” alla sua destra, e contemporaneamente rispondeva alle decine di mail che affollavano quello alla sinistra, più piccolo, ma di maggior risoluzione. Ogni tanto tirava indietro il busto, appoggiandosi sullo schienale della poltroncina, tamburellando con le dita sulle labbra, un’espressione concentrata e leggermente preoccupata le aggrottava le sopracciglia ben rifinite, oscurando gli occhi verde intenso.
- Capo? - la voce metallica dell’interfono la scosse dai suoi pensieri. Allungò la mano per ricevere la comunicazione.
- Si, Frances, che c’è? - chiese, continuando a fissare gli schermi che brillavano di fronte a lei.
- Ha chiamato Devereaux. Vuole sapere se può confermare l’appuntamento.
Grace si alzò dalla poltroncina, percorrendo il breve spazio che separava la sua scrivania dalla parete alla sinistra, occupata da una mappa del pianeta di grandi dimensioni. Su diversi punti degli oceani erano segnati dei piccoli cerchi a matita, e Grace li percorse seguendo con l’indice un immaginario tracciato che li collegava.
- Capo? - di nuovo l’interfono. Grace voltò la testa verso la scrivania, illuminata dalla luce tremolante degli schermi. Amava tenere il suo ufficio in penombra, durante l’estate, e ben fresco. L’unica fonte di luce erano i monitor sulla scrivania, e le linee nette tracciate sul pavimento dal riflesso del Sole attraverso le veneziane socchiuse, che si muoveva man mano che la giornata procedeva. A quell’ora, le 9.00 del mattino, occupavano la parte prospicente la scrivania di mogano e alluminio, quella che dava sulla porta del piccolo bagno vicino all’ingresso.
- Si, Frances, conferma l’appuntamento. Domani alle 4 del pomeriggio, ora di Sidney.
- Bene.
Il clik dell’interfono che veniva spento risuonò metallico nel silenzio dell’ufficio. Grace tornò a studiare la mappa del pianeta. Diverse anomalie magnetiche che stavano provocando un piccolo disastro ecologico, sfuggito, per ora all’attenzione generale, proprio per la sua delocalizzazione, e la limitata estensione delle zone interessante. Ma in quelle zone ogni forma di vita era stata distrutta. Il gruppo di Devereaux stava facendo ricerche avanzate nella zona formatasi nel Sud Pacifico. Domani avrebbe visionato anche lei i risultati. E subito dopo avrebbe avvertito il suo Popolo, che abitava nelle profondità sottomarine.
Tornò a sedere sulla poltrona, chiuse gli occhi, e in pochi istanti fu sullo scoglio, che somigliava a una nuvola, dove l’Angelo che possedeva il suo cuore, le sorrise, salutandola. Rispose sorridendo a sua volta, e accarezzandogli i capelli, mentre sedeva vicino a lui e gli prendeva la mano.